Valentina Bonetto
Sono nata a Padova, ho 52 anni, sono sposata e ho una figlia di 11 anni. Sono diventata ricercatrice perché sono sempre stata una persona curiosa e mi sono sempre chiesta il perché delle cose. Ho scelto di fare ricerca nell’ambito biomedico perché in questo modo posso soddisfare il mio desiderio di conoscenza e allo stesso tempo contribuire allo sviluppo di una possibile terapia per una malattia orfana.
Il mio percorso universitario inizia a Padova dove ho studiato Chimica e Tecnologia Farmaceutiche e subito dopo sono andata a Stoccolma dove ho vissuto per 5 anni e conseguito il dottorato di ricerca in Biochimica Medica all’Istituto Karolinska. L’esperienza in Svezia è stata molto arricchente sia dal punto di vista scientifico che personale. L’Istituto Karolinska, oltre ad essere molto vivace scientificamente, è un ambiente internazionale che permette scambi di conoscenze, punti di vista e idee tra persone con differenti background culturali.
Durante il mio dottorato di ricerca mi sono specializzata nell’analisi della struttura e funzione delle proteine. Quando nel 2000 sono rientrata dalla Svezia all’Istituto Mario Negri di Milano, c’era già un gruppo di ricerca, quello della Dott.ssa Bendotti, che da anni si occupava di SLA. Parlando con lei ho capito che le mie competenze biochimiche sarebbero state preziose per lo studio dei meccanismi molecolari alla base di una malattia che mostrava sia nei pazienti che nei modelli animali accumuli di proteine patologiche.
Il progetto finanziato da AriSLA mi permetterà di testare l’ipotesi che abbiamo formulato in questi ultimi anni cioè che i malati SLA potrebbero sviluppare la malattia perché sono carenti di un fattore protettivo dei motoneuroni che è l’enzima ciclofillina A. Con questo progetto scopriremo se aumentando il livello di ciclofillina A nelle cellule riusciamo ad interferire con l’insorgenza e la progressione della malattia.
Ho incontrato malati SLA in varie occasioni, la cosa che mi colpisce sempre moltissimo è la loro immensa fiducia nella ricerca e nei ricercatori. Ti fanno sentire che quello che stai facendo è importante e ti spingono a fare sempre meglio. Questo e l’idea che stiano aspettando una cura mi motiva moltissimo nel mio lavoro.
Non ho un modello di riferimento in particolare, ma sono molto affascinata da tutte quelle donne che riescono a gestire in maniera brillante un lavoro di responsabilità e gli impegni familiari.
Un incontro che mi ha segnato la vita è sicuramente quello con il Prof. Silvio Garattini, Presidente dell’Istituto Mario Negri, un esempio per lucidità e rigore nell’affrontare le questioni scientifiche, e per il coraggio nell’andare controcorrente e prendere posizioni anche scomode con il solo fine di prodigarsi per la salute pubblica.
Tra le mie passioni, dopo la ricerca, c’è la montagna, che mi consente di liberare la mente e rilassarmi per recuperare l’energia mentale necessaria per il mio lavoro.
Il mio sogno nel cassetto? È trovare una cura o almeno una terapia che migliori la qualità di vita dei pazienti SLA. (data pubblicazione 6/6/2022)