Mauro Cozzolino
Sono nato a Padova, ma vivo a Roma, ho 52 anni e la mia famiglia è composta da Nadia, partner di vita e di lavoro, e le nostre due figlie Laura e Giulia di 10 e 16 anni. Il momento che stiamo vivendo e abbiamo vissuto ha determinato un cambiamento che senza dubbio lascerà il segno nella vita di tutti noi. È certamente un periodo di grande angoscia, soprattutto per le persone più fragili che soffrono di più per tutto quello che sta accadendo.
Da ricercatore che da tanti anni studia una malattia come la SLA sono abituato alle sfide che il lavoro di ricerca ci pone quotidianamente, e in un momento come questo è ancora più forte la consapevolezza che lo sforzo di tanti porterà a trovare soluzioni. Spero che la situazione che stiamo vivendo contribuisca ad aumentare la fiducia delle persone nell’importanza della ricerca scientifica. Per questo motivo il nostro lavoro non si deve fermare, pur nelle difficoltà pratiche del momento.
Credo che mia la scelta di fare ricerca sia il risultato dell’incontro con tante persone lungo la strada e con la loro passione per la scienza, dagli insegnanti negli anni della scuola, ai tanti colleghi incontrati nel corso del tempo. Ho studiato e lavorato essenzialmente a Roma, prima all’Istituto di Neurobiologia del CNR, che all’epoca ancora vedeva la presenza quotidiana della Prof.ssa Rita Levi-Montalcini, poi alla Fondazione Santa Lucia, infine all’Istituto di Farmacologia Traslazionale del CNR dove da qualche anno ho un mio laboratorio.
L’incontro che per tanti versi ha segnato la mia vita scientifica e personale è stato quello con la Prof.ssa Maria Teresa Carrì. Devo a lei il mio interesse per la ricerca sulla SLA, la dedizione che sento per questo nostro lavoro ed il senso di rispetto e responsabilità che tutti noi dobbiamo alle persone con SLA, e che Maria Teresa ha saputo trasmettere a quanti hanno condiviso con lei un lungo percorso di vita e di lavoro.
Perché studio la SLA? Ho sempre vissuto come una sfida la possibilità di applicare le conoscenze della neurobiologia di base, che sono state al centro dei miei interessi scientifici fin dai primi anni di studio, alla comprensione dei meccanismi che sono responsabili delle neurodegenerazioni. In questo senso la SLA rappresenta una grandissima sfida, sia per la complessità della malattia stessa, sia per l’urgenza di trovare un modo efficace per porvi rimedio.
Se devo pensare agli stimoli che alimentano il mio impegno, che sono tanti, la motivazione più grande viene sicuramente dalla fiducia nei progressi che la ricerca sulla SLA potrà raggiungere, fiducia che anche i pazienti ci dimostrano nelle tante occasioni di incontro che Arisla mette in campo. E questo anche a dispetto del fatto che queste ricerche ancora non hanno portato alla scoperta di una cura davvero efficace.
Arisla è il punto di riferimento più importante per tutti quelli che studiano la SLA in Italia. Per i nostri progetti poi è stata essenziale, perchè Arisla sostiene le nostre ricerche da tanti anni e ci ha permesso di coinvolgere nel tempo un gruppo sempre più ampio di persone, soprattutto giovani, in questa causa.
Mi piace trascorrere il mio tempo libero con la famiglia. Mi piace leggere, in particolare libri di storia, e cucinare, un’attività che richiede precisione, pazienza e creatività, proprio come il lavoro di laboratorio!
Il mio sogno nel cassetto? Quello di non dover fare più ricerca sulla SLA, perché vuol dire che sarà diventata una malattia curabile. (data pubblicazione 25/5/2020)