Manuela Basso
Sono nata a Torino, ho 43 anni e sono sposata con Sergio. E ho una figlia, Gaia, di 8 anni. Oggi studio la SLA perché mi sono occupata della comprensione delle malattie neurodegenerative fin dalla tesi di laurea. E ad oggi la comunità scientifica che si occupa della SLA è la più vivace e collaborativa che abbia trovato. C’è una voglia estrema di fare passi avanti, la ricerca di base e la clinica lavorano uniti e a me entusiasma questo spirito di gruppo. Sono orgogliosa di farne parte.
Ho avuto l’opportunità di incontrare tanti malati ai congressi sulla SLA, e recentemente ho avuto modo di interagire direttamente con loro e con le loro famiglie. Ogni incontro è una occasione per vedere la vita da una prospettiva diversa, un insegnamento ad apprezzarla anche nelle difficoltà più grandi.
Sono diventata ricercatrice perché sono curiosa e mi affascina moltissimo poter capire e scoprire qualcosa di nuovo. Il mio percorso di studi universitari è iniziato presso la Facoltà di Biotecnologie mediche all’Università degli Studi di Torino; ho proseguito gli studi con un dottorato di ricerca presso l’Istituto Mario Negri di Milano e poi mi sono trasferita a New York per cinque anni e mezzo per lavorare in un Istituto di Ricerca, il Burke Neurological Institute affiliato alla Cornell University. Sono rientrata in Italia nel 2013 come ricercatrice con chiamata diretta presso l’Università di Trento.
Se penso ad un incontro che mi ha segnato la vita, mi viene in mente l’incontro con un libro ‘L’elogio dell’imperfezione’ di Rita Levi Montalcini. Leggendo quel libro durante l’estate della quarta liceo ho deciso che avrei provato a fare la ricercatrice. Poi, ho incontrato molte persone nella vita. Ho avuto diversi ‘maestri/mentori’ nei laboratori in cui sono stata ed ognuno, in modo diverso, ha lasciato un segno.
Credo che nella vita di tutti i giorni, siano stati i miei genitori a trasmettermi l’impegno e la serietà per il lavoro che svolgo, anche se loro arrivano da realtà molto distanti dalla ricerca. Nella scienza, cerco di collaborare molto con persone molto competenti che stimo. Imparo ogni giorno da loro.
Mi motiva tutto nel mio lavoro. Mi motiva avere sempre delle domande nuove e cercare di capire come ottenere delle risposte chiare e concrete. Mi motiva l’entusiasmo che vedo nelle persone che lavorano con me, nei ragazzi giovani che si affacciano al mondo della ricerca scientifica, nei clinici che sperano di proporre una nuova cura ai loro pazienti e nelle famiglie dei malati che quando gli racconti cosa stai facendo, ti sorridono e con questo ti danno l’energia per continuare.
Lo scopo della mia ricerca è molto chiaro. Insieme ai clinici, vogliamo definire se le vescicole extracellulari possono aiutare a definire una prognosi per il malato SLA. Abbiamo messo in piedi un gruppo multidisciplinare che ha questo focus definito e ci auguriamo di fornire una risposta chiara alla nostra domanda. Ringrazio AriSLA dell’opportunità di poter sviluppare la mia ricerca: per me e tutto il team è un onore e faremo in modo di ottimizzare al meglio la fiducia accordata.
È questo il mio sogno nel cassetto: riuscire a continuare a fare quello che sto facendo, sempre migliorandomi, sia come scienziata che come mentore. E così contribuire a trovare una terapia che finalmente mi permetta di raccontare ai miei studenti a lezione che le malattie neurodegenerative si possono trattare e magari sconfiggere.
La mia passione? Sembra retorica ma la ricerca è la mia passione più grande, perché ad essa posso dedicare tempo infinito senza accorgermene. Ho la fortuna di abitare a due passi dai monti e le passeggiate, le arrampicate, le attività all’aria aperte sono parte integrante della vita mia e della mia famiglia. E mentre cammino penso, organizzo, rielaboro ipotesi. Infine, mi diverte leggere libri gialli, amo la buona cucina e adoro andare a concerti e spettacoli teatrali, quando possibile. (data pubblicazione 20/5/2022)