Giovanni Nardo
Sono nato a Tropea (VV) e ho 41 anni. Nonostante le difficoltà di questo periodo, la ricerca, fortunatamente, non si è mai fermata completamente. All’inizio non è stato facile gestire gli esperimenti con l’incertezza delle possibili chiusure. Per qualche mese abbiamo dovuto riorganizzare il lavoro ma è stato anche un momento che ci ha permesso di ridefinire le priorità e concentrarci su aspetti lavorativi come la scrittura di lavori e progetti di ricerca, ad esempio il Bando AriSLA 2020.
Perché sono diventato ricercatore? Ad esser sincero mi sono iscritto al corso di laurea in Biologia incuriosito dall’etologia. Poi durante gli anni universitari mi sono appassionato alla biologia molecolare che mi ha fatto avvicinare al mondo della ricerca di base. Volevo un lavoro dinamico e mai ripetitivo e il ricercatore rappresenta perfettamente queste caratteristiche.
Tra le mie esperienze all’estero, ci sono i due anni passati al Sitran, Istituto di Neuroscienze Traslazionali di Sheffield, presso il laboratorio della Professoressa Pamela Shaw. Sicuramente è stata un’esperienza fondamentale nel mio percorso di formazione umano e lavorativo. Infatti ho avuto la possibilità di confrontarmi con un gruppo di ricerca internazionale e interagire con figure professionali in grado di supportarmi in ogni aspetto del mio sviluppo come ricercatore.
Credo che ogni persona incontrata in questi anni abbia contribuito al ricercatore che sono diventato. Sicuramente i miei colleghi/amici, con cui ho iniziato questo percorso e che ora svolgono la loro ricerca in altri Istituti, sono stati e sono tutt’ora un punto di riferimento e di confronto costante.
Perché lo studio la SLA? La possibilità di domandarsi il “perché” di una cosa e il poter lavorare, concretamente, per cercare una risposta è quello che mi spinge nel lavoro. In questo credo che la SLA sia una sfida continua e uno continuo stimolo. Studio questa malattia nella speranza di fare qualcosa di utile, di provare, nel mio piccolo, a migliorare la qualità della vita delle persone.
Nel mio caso la motivazione è prima di tutto intellettuale. Il piacere e la necessità di affrontare le problematiche che ogni approccio sperimentale richiede e l’analisi finale del risultato raggiunto. Questa è la motivazione che mi fa alzare dal letto la mattina con la convinzione che quanto di buono verrà fatto ogni singolo giorno porterà progressivamente allo sviluppo di una maggiore conoscenza della malattia.