Fabrizio D’Adda di Fagagna
Sono nato a Udine, ho cinquant’anni, sono sposato e ho un bimbo di 7 anni. Tra le esperienze formative, la specializzazione alla SISSA di Trieste e all’Università di Cambridge, oggi lavoro all’IFOM di Milano. Non credo nei momenti ‘Eureka’, la mia scelta di diventare ricercatore è maturata nel tempo. La sensazione che provavo in laboratorio era quella di stare al Luna Park senza pagare il biglietto!
Perché studiare la SLA? Sono in una fase della mia vita e della mia carriera in cui mi interessano studi che abbiano un impatto non solo sulla conoscenza, ma più direttamente sulle persone. Da sempre mi sono interessato di studiare cosa succede quando il DNA in una cellula si rompe. Di recente abbiamo riscontrato che esiste un legame tra il danneggiamento ed il suo riparo e la SLA: il nostro obiettivo adesso è comprendere meglio questo legame e perché una cellula in un malato di SLA non risponde correttamente ad una rottura del DNA.
La SLA è una malattia davvero devastante. A colpirmi è il dramma che i pazienti vivono, il fatto di essere lucidi mentalmente e allo stesso tempo imprigionati in un corpo che non controllano e limita il loro essere. Mi piace andare in montagna, camminare e soprattutto arrampicarmi. Tra i miei interessi c’è anche l’arte. Nel mio ufficio ho una grande stampa di un quadro di Jackson Pollock: mi piace pensare che apprezzare la complessità da lui proposta sulla tela sia affine alla mia passione per la scienza.
Il mio sogno nel cassetto è riuscire a portare qualcuna delle mie scoperte a fruizione dei pazienti SLA: questo sarebbe certamente un grosso motivo di soddisfazione.