Eleonora Dalla Bella
Sono nata a Mantova, ho 44 anni. Ho un compagno e una figlia di 6 anni di nome Camilla. Sono diventata ricercatrice perché mi piace fare tante domande.
Il mio percorso di studi è stato lineare, con momenti di entusiasmo e sconforto, cercando di fare del mio meglio. Ho frequentato in età giovanile molti ambienti di volontariato e fin da giovane mi sono confrontata con la disabilità fisica, imparando molto dai pazienti.
I pazienti affetti da SLA sono la mia quotidianità. Tante cose mi colpiscono di loro, il dolore, non quello fisico, la forza, la rabbia, il rapporto complesso con i caregiver, il grande amore per la vita, la sete di conoscenza e la fiduciosa richiesta di aiuto da parte nostra. Tutto questo vince sulla rabbia per la malattia. Nonostante, come è noto, taluni aspetti comportamentali rientrino nelle alterazioni cognitivo comportamentali presenti in oltre la metà dei pazienti, credo che queste persone, loro malgrado, abbiano raggiunto una speciale umanità.
Mi piacerebbe che il mio lavoro clinico e di ricerca potesse essere sempre in grado di dare risposte oneste e scientificamente impegnate ai pazienti e alla comunità scientifica.
Non ho un modello specifico di riferimento, credo che chi mi abbia insegnato a fare il mio lavoro e a non perdere mai l’entusiasmo sia il mio modello.
Tra gli incontri che hanno segnato la vita, c’è quello con le suore di Madre Teresa, a Zagabria.
Studio la SLA perché credo che sia molto affascinante. Sul piano della conoscenza è una malattia molto complessa e che ricapitola profondamente il funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico. Muscoli, nervi, cervello, midollo spinale e geni contribuiscono a far insorgere e progredire questa malattia così difficile da vivere sulla pelle di tutti i giorni. È una sfida, un rebus intricatissimo che ci chiede continui sforzi interpretativi. I pazienti chiedono risposte e comprendere anche solo i meccanismi del danno aiuta le persone malate e le loro famiglie a interiorizzare la malattia. Da questi presupposti poi possono nascere le riflessioni su possibili nuove terapie
Il mio progetto finanziato da AriSLA spero possa essere un punto di partenza per chiarire alcuni aspetti clinici della malattia sui quali vi è ancora scarsa conoscenza e descrizione. Fare ricerca significa, per me, mettere ordine in una serie informazioni e ricercare sempre la visione d’insieme. Spero anche che questa ricerca possa aprire nuovi scenari di indagine ugualmente meritevoli di finanziamento e che si creino le basi di costruzione di un solido gruppo.
Nel mio lavoro mi motivano le persone malate e le loro famiglie. Trovo che poter alleviare le sofferenze e poter dare la spiegazione di un fenomeno con basi solide e dopo essersi sporcati le mani in prima persona renda più autentico il rapporto medico paziente. Uno dei miei sogni nel cassetto è quello di arrivare ad identificare specifiche vie di neurodegenerazione che possano avere farmaci target e associarle a specifiche caratteristiche cliniche di pazienti, per poter avere cure mirate per tipo specifico di malattia.
Ho moltissimi hobby, adoro fare knitting e appena posso ci dedico. Mi piace cucinare, cucire, adoro gli animali, la lettura e il disegno. Sono grande appassionata anche di creatività in tutte le possibili manifestazioni pratiche. Non credo che questi hobby centrino molto con il mio lavoro scientifico, ma mi hanno insegnato la costanza testarda e ricordato di vedere le cose solo con i miei occhi, di avere una visione libera. Inoltre, sono un ottimo antistress per affrontare i momenti lavorativi più intensi. (data di pubblicazione 22/04/2024)