Alessandro Rosa
Sono nato a Rieti, ho 42 anni, sono sposato e papà di due figlie, di 12 e 9 anni.
Sono diventato ricercatore per la mia curiosità di capire come funzionano gli esseri viventi. Sono uscito dal liceo negli anni del Progetto Genoma e della pecora Dolly, iscrivermi a Biologia è stata la scelta più naturale per me. Inoltre, come professore universitario faccio anche didattica e insegnare mi è sempre piaciuto.
Mi motiva la curiosità di capire i meccanismi fondamentali che fanno funzionare una cellula e come le malattie genetiche alterino questi meccanismi. E, facendo ricerca biomedica, la speranza che in un futuro il nostro lavoro porti dei benefici ai pazienti.
Dopo la laurea, ho fatto un dottorato in biologia molecolare. Poi ho svolto attività di ricerca alla Rockefeller University di New York per 4 anni. E’ stato un momento di crescita enorme che mi ha permesso di imparare cose che restando in Italia non avrei potuto apprendere. Ad esempio la biologia delle cellule staminali embrionali umane, che sono la base per poter utilizzare le cellule iPS, un sistema modello fondamentale per la mia ricerca attuale. Nel 2010 sono rientrato a Roma e attualmente sono professore associato di biologia molecolare alla Sapienza.
Se penso ad un modello di riferimento, credo per me sia mio padre, ex professore e ricercatore di Fisica. Ha dedicato una vita allo studio di particelle fondamentali con una dedizione e una passione che mi sono di esempio.
Dal punto di vista scientifico, sono due gli incontri che hanno più segnato il mio percorso. Quello con la prof.ssa Irene Bozzoni, che mi ha accolto in laboratorio da studente e mi ha trasmesso l’interesse per la biologia molecolare. E quello con Ali Brivanlou, il mio supervisor a New York, genio e sregolatezza. Nel suo laboratorio ho scoperto una vera e propria passione per le cellule staminali e i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo del sistema nervoso.
Il mio studio della SLA è iniziato quasi per caso. Quando sono tornato in Italia dagli USA, nel 2010, erano stati appena scoperti due nuovi geni-malattia, FUS e TDP-43, entrambi codificanti per proteine leganti l’RNA e coinvolti nella produzione dei microRNA, e io ai microRNA avevo dedicato gli studi del dottorato e del post-doc. Inoltre, un gruppo di ricerca americano aveva appena generato le prime cellule iPS da pazienti SLA, aprendo la strada allo studio della malattia su appropriati modelli cellulari umani in vitro. E io ero uno dei pochi in Italia che con le iPS ci sapeva lavorare. Da qui è partito un progetto iniziato con la generazione e la caratterizzazione dei primi motoneuroni derivati da iPS con mutazioni FUS.
Sono felice di potermi continuare ad occupare di SLA, grazie anche ad AriSLA, che recentemente mi ha assegnato il secondo grant. Il primo, uno starting grant vinto nel 2016, è stato fondamentale per iniziare lo studio del ruolo della proteina legante l’RNA HuD nella malattia, progetto a lungo termine tuttora in corso. Questo secondo finanziamento, un full grant, è stato assegnato ad un progetto collaborativo coordinato da Serena Carra, con Emanuele Buratti, in cui il mio contributo principale sarà di fornire i modelli cellulari basati sulle iPS. Grazie al supporto di AriSLA speriamo di gettare luce sui meccanismi molecolari che portano alla formazione degli aggregati patologici contenenti la proteina TDP-43.
Penso che il ruolo di AriSLA in Italia vada oltre il “semplice” finanziamento della ricerca. In questi anni la Fondazione ha contribuito enormemente a creare una comunità di ricercatori e medici interessati alla SLA nel nostro Paese, stimolando la collaborazione. La collaborazione su cui si basa il nostro grant ne è un esempio.
Ho avuto occasione, grazie ai convegni AriSLA, di incontrare le persone con SLA. Sono rimasto molto colpito dalla forza e dall’amore dei familiari che si prendono cura dei pazienti. Immagino che sia un compito difficilissimo e li ammiro molto.
Nel tempo libero coltivo la passione per la Storia, in particolare Roma antica. Sembra molto distante da quello che faccio per lavoro, ma spesso mi capita a lezione di introdurre con un approccio storico gli argomenti trattati e vedo che questo è molto apprezzato dagli studenti. Credo che studiare dalle radici il percorso che ha portato, magari dopo decenni, a importanti scoperte scientifiche sia di esempio soprattutto per i più giovani. Ad esempio, esperimenti sulla clonazione delle rane negli anni ’50 hanno gettato la base per le cellule iPS (premio Nobel per la medicina nel 2012).
Il sogno nel cassetto? In realtà sono due: primo, fare una scoperta scientifica importante su un meccanismo fondamentale di funzionamento della cellula; secondo, spero che le mie scoperte portino a migliorare concretamente la vita dei pazienti.