Grazie a un’innovativa biopsia del nervo motorio, i ricercatori del San Raffaele hanno dimostrato che gli accumuli proteici già identificati a livello cerebrale sono presenti anche nel sistema nervoso periferico e potrebbero avere un ruolo rilevante nella progressione della malattia
La SLA è la forma più conosciuta e aggressiva delle malattie del motoneurone, patologie caratterizzate da una degenerazione precoce dei neuroni responsabili del movimento, localizzati a livello della corteccia cerebrale, del tronco encefalico e nel midollo spinale. Più del 95% del volume totale di queste cellule, altamente specializzate, è costituito dal prolungamento assonale, parte strutturale essenziale dei nervi periferici. I ricercatori del San Raffaele hanno deciso pertanto di concentrarsi sul ruolo del sistema nervoso periferico nello sviluppo della malattia, e in particolare sulla presenza di aggregati proteici all’interno dei nervi motori.
I ricercatori Angelo Quattrini e Nilo Riva, autori dello studio
“Siamo già a conoscenza, grazie ad analisi post mortem, della presenza di depositi della proteina pTDP-43 nel cervello dei pazienti con SLA. Ma mai questa indagine era stata condotta nei nervi periferici. Sfruttando una particolare tecnica precedentemente sviluppata sempre al San Raffaele – la biopsia del nervo motorio – è stato possibile analizzare gli accumuli di questa proteina in vivo, in pazienti valutati nella fase di inquadramento diagnostico” afferma Nilo Riva, primo autore dello studio.
Lo studio del San Raffaele getta anche nuova luce sui meccanismi biologici alla base della malattia e sulla rilevanza del sistema nervoso periferico per lo sviluppo di future terapie. “Il prossimo passo consiste nel cercare di comprendere sempre più nel dettaglio – attraverso modelli sperimentali della malattia – il processo di accumulo proteico che avviene negli assoni e nelle cellule di Schwann” spiega Angelo Quattrini, coordinatore e ultimo nome dello studio.
“Se questi accumuli hanno un ruolo patogenetico, si potrebbe pensare in futuro di bloccare ed eliminare gli accumuli proteici per prevenire così la degenerazione: ricordiamo infatti che ad oggi non esistono cure risolutive per i pazienti affetti da SLA e che le terapie si limitano ad alleviare alcuni sintomi”.
In una prospettiva più ampia: “La nostra ricerca apre nuovi scenari anche per altre malattie neurodegenerative associate all’accumulo di pTDP-43, come la demenza frontotemporale. La presenza di depositi proteici nel sistema nervoso periferico potrebbe costituire, anche in quel caso, un marcatore diagnostico e prognostico innovativo,” conclude il prof. Massimo Filippi.