Tania Zaglia

Coordinatrice del progetto SYMP – ALS e in precedenza del progetto di ‘SNOP’. Ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, dell’Università degli Studi di Padova.

Ho 45 anni e sono nata a Cologna Veneta (VR).

Ho deciso di intraprendere la carriera della ricerca già tra i banchi del Liceo, periodo che ha stimolato la mia curiosità; e mi ha portato a prendere coscienza del fatto che, nonostante l’immane progresso della conoscenza nel corso della storia, in molti abiti, tra cui quello scientifico, ci sono ancora tante domande che necessitano di risposte. Ho deciso quindi di proseguire il mio percorso iscrivendomi alla facoltà di Biologia dell’Università di Padova e l’esperienza di una tesi sperimentale ha ulteriormente consolidato quella passione nata tra i banchi delle superiori, portandola a maturare da un forte desiderio di soddisfare la curiosità, alla volontà di aggiungere nuovi tasselli al vasto puzzle della conoscenza biomedica, per contribuire a dare speranza a persone affette da malattie attualmente incurabili. Questo sentimento si è consolidato ancor di più nel corso dell’esperienza di post-doc, condotta in diversi gruppi di ricerca, e in quella che sto vivendo attualmente di group leader presso l’lstituto Veneto di Medicina Molecolare di Padova.

Il mio modello di riferimento è Rita Levi Montalcini. Di lei mi piace citare due frasi. La prima:  “Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore e uniche coloro che usano entrambi”.  E l’altra: ““Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”.

L’intima interazione e vicinanza con persone care che hanno vissuto malattie incurabili, a testa alta e con grande dignità, senza arrendersi mai e sorridendo alla vita fino all’ultimo. A loro va il mio più sincero ringraziamento per avermi dato un grande insegnamento di vita, che non si apprende sui libri, e la motivazione a fare ogni giorno al meglio questo lavoro, con passione, onestà e caparbietà.

Ho deciso di dedicarmi alla SLA dopo aver partecipato ad un incontro dove erano presenti pazienti affetti da questa drammatica malattia. Di queste persone mi ha colpito la dignità e la determinazione, la voglia di lottare nonostante tutto, e la lucida consapevolezza di un destino impietoso, imbrigliata in un corpo incapace di interagire con il mondo circostante.

Di fronte a ciò, ho deciso di impegnarmi per cercare di dare risposte ad alcune delle domande ancor oggi irrisolte circa i meccanismi alla base della malattia, per contribuire a dare la speranza di una qualità di vita migliore ai malati di SLA.

 

Credo che i risultati della nostra ricerca porteranno ad un avanzamento della conoscenza dei meccanismi alla base della SLA, e auspico che i nostri risultati trovino una rapida traslabilità dalla ricerca di base alla clinica, per una diagnosi precoce della malattia, e l’applicazione di strategie terapeutiche per migliorare la qualità di vita dei pazienti e allungarne l’aspettativa di sopravvivenza.

Questo si riaggancia al mio sogno nel cassetto: guardare negli occhi un paziente che abbia trovato beneficio dall’applicazione dei risultati conseguiti dal nostro gruppo di ricerca.

Anche nel mio tempo libero cerco di occuparmi di qualcosa che possa aiutarmi a svolgere meglio il mio lavoro. Amo molto fare passeggiate in montagna, è un momento di distensione della mente. Nell’ammirazione del paesaggio trovo l’ispirazione per formulare nuove ipotesi da testare in laboratorio, e la determinazione che mi permette di tenere la mente focalizzata sull’obiettivo principale che mi sono posta: contribuire a dare risposte a chi di risposte ha bisogno, e nel più breve tempo possibile.

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